L'elemento sfuggente.
I dispositivi dell'arte nella differenza di genere. Anna Trapani
da DWF.Pechino e Dintorni, 1995, 1 (25) gennaio-marzo, pp.77-80
Nell'immaginazione femminile la figura dell'artista ha spesso un posto del tutto speciale. Il motivo di questa preferenza è dato dal fatto che le donne avvertono più o meno coscientemente di non possedere Sovranità nella loro vita, e abituate a coincidere con lo stereotipo che l'ordine sociale ha loro imposto di essere, avvertono il bisogno di spendere le loro energie in attività diverse dalla cura e responsabilità per gli altri, pertanto l'attività artistica appare come il luogo privilegiato per la espressione delle pulsioni profonde. Ma questo è sempre vero e sempre possibile?
La storia ci insegna che l'arte oltre a possedere una peculiare funzione estetica, ne assolve a molte altre rispecchianti l'ordine sociale e la sua struttura. Da ciò si può dedurre quanto sia falsa la pretesa dell'arte come linguaggio universale e come invece la struttura simbolica con cui funziona metta al centro un soggetto che per quanto si imponga come neutro riflette intenti maschili, L'arte perché isola l'oggetto nella funzione estetica che le è
propria, mette in ombra le funzioni extraestetiche che costituiscono rilevanti dispositivi di potere.
Le avanguardie artistiche avevano prospettato una rottura insanabile dell'artista con la committenza rinforzando il mito romantico dell'artista ribelle ed eversivo, distaccato dalla società o contro di essa, che negava la tradizione e si proiettava nel futuro o si avvolgeva nei labirinti oscuri della sua psiche. Comunque sia, anche questo ruolo di rivoluzionario e di mutarne partecipava al gioco di disorganizzazione-riorganizzazione della società ed era un esito del gioco maschile.
Ogni tentativo di riscoperta di una ipotetica «altra metà dell'avanguardia» suona terribilmente falso, in quanto le donne. mogli o amanti, che gravitavano nell'ambiente degli artisti, pur possedendo competenza e bravura, hanno spesso solo rafforzato le tendenze estetiche già espresse replicando la tensione che le aveva prodotte. Esse sono state come dice Luce Irigaray «il doppio perfetto, il mimo senza macchia, il gioco senza perdita».1
Della stessa natura è il fenomeno della riscoperta di figure femminili « eccezionali» nell'ambito delle arti figurative: questa operazione condotta a neutro, nonostante la fioritura interessante di mostre e monografie, non produce un accrescimento di sapere delle donne e per le donne in quanto i paradigmi di valore e di senso utilizzati per la lettura sono ancora quelli storicamente accreditati, ovvero maschili: una sola ermeneutica per qualunque oggetto. Altra cosa è la ricerca femminista che interrogandosi sul genere del soggetto, scrive una nuova storia dell'essere e de] divenire donna, cioè della sua irriducibilità.
Molta parte della critica d'arte contemporanea si impernia sull'«estetica del brutto» termine che sta ad indicare una incapacità rigenerativa. L'arte allora predica il non-senso, la casualità dell'assemblaggio la riduzione del simbolo a segno. Di fronte alla pochezza della funzione estetica c'è una ipertrofia delle funzioni extra-estetiche che tendono a sostituirla completamente come nel caso della funzione economica nelle sue diverse concezioni di bene rifugio, di speculazione di ostentazione di prestigio. L'arte rispecchia il modello sociale e nello stesso tempo lo alimenta contribuendo a ridurre tutti i valori al solo valore economico. Si articola così, anche in campo artistico, un dispositivo che incentra il suo perno nel critico d'arte imprenditore, e fa della critica d'arte l'unico evento creativo. Vale la pena di seguire testualmente le procedure indicate da Achille Bonito Oliva per la creazione, la circolazione e il consumo della «merce arte» spogliandola definitivamente da quel residuo di «aura» che l'aveva accompagnata per tanti secoli: «E importante che un giovane artista faccia un lavoro capace di passare sotto l'osservazione di un critico di qualità, che lo segnali ad un gallerista di qualità. che lo faccia conoscere a collezionisti di qualità, e che richiami un pubblico di qualità per musei di qualità. Esistono come dei gironi nel sistema dell'arte che creano una identità sociale del prodotto artistico, che possono aiutare l'artista a vivere al riparo da infortuni sociali, da sfortune economiche, e ammetterlo quindi nelle condizioni giuste per esprimersi liberamente». È evidente che il termine «qualità» nonostante la reiterazione parossistica. rimane privo di senso; quello che invece appare chiaramente è un nuovo modello gerarchizzato tra i vari soggetti che compongono il sistema nel quale il critico assembla i cocci della morte dell'arte e riduce i linguaggi artistici al solo linguaggio della critica.
L'artista essendo una variabile insignificante del sistema, è solo in apparenza libero di esprimersi, in quanto la verità della sua arte e la sua stessa identità gli vengono attribuite dal critico creatore.
Eppure questi incastri che si pretendono perfetti non sono senza residui: esiste un elemento sfuggente. Non sarà la bellezza cacciata dall'arte che afferma la sua verità insinuandosi nell'algoritmo di una stringa. in un teorema ben posto e molto più verosimilmente nella inaudita cadenza del divenire donna? Nel binomio del divenire donna-artista affiora oggi una problematica irriducibile che non può più coincidere con quel femminile che è passato nell'arte senza passare per la differenza sessuale, quello tanto caro alla Kristeva che ha esaurito le sue possibilità di significare qualcosa per una donna. In questi anni la politica e il pensiero della differenza sessuale hanno condotto a rivolgersi come origine del pensiero e dei linguaggi all'ordine simbolico della madre e quindi a riferirsi a una genealogia materna. Questo è luogo che consente ad una donna di abitare il mondo e di interrogarlo. La genealogia è quindi ciò che fa trovare le condizioni materiali e la forma dei propri saperi.
L'interrogazione sul bello, la pratica artistica rivolta al bello come «elemento sfuggente oggi sembra molto viva ed è quanto sta a cuore a varie artiste. Forse non se ne può cogliere la portata se non nella dimensione genealogica del simbolico della madre.
Ecco perché sfugge a quanti si riferiscono solo ai dispositivi del fare artistico subalterni a precise relazioni di potere e che in queste trovano la loro origine.
1 Luce Irigaray, Amante marina, Milano Feltrinelli 1981, p.124.
*THEMIS. Rubrica di filosofia a cura di Angela Putino
(collaborazione di Giovanna Borrello e Valeria Frescura)