Anna Trapani: la pittura amore-odio-amore
di Mario Maiorino
Più ci si sofferma a considerare sulle opere di Anna Trapani, già di approcci lontani, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, rigidamente costruite, squadrate, corpose, suggestionate di colore, per cui si disse de “i sensi sono più belli della sua pittura”, quanto su altre,dei periodi seguenti, e per tutti gli anni Ottanta, manifestanti passaggi vari di snellimento e di morbidezza, con toni sfumati, dominio maggiore del disegno sul colore, accentuazioni di tematiche femminili e di implicazioni di propria avanguardia, più si avverte che la sua in evidente modernità è una pittura squisitamente classica; classica perché precisa nei termini, volutamente racchiusa in una linearità che non lascia adito ad altri contorni; classica perché contenuta nei limiti di una purezza di forme in una figuratività essenziale; classica perché il modo di rendere chiusi o aperti i volumi è sempre conglobato in una carezza estrema, nell’essenzialità della pittura stessa; classica, ancora, perché in essa s’intravede l’origine e l’affermazione del bello non inteso come piacere ma come caratteristica di un’armonia, in un insieme in cui lo stato primario segna il continuo avvicendamento delle idee nell’inviluppo del dire; classica, infine, perché sempre compositivamente conclusa nelle analogie e nei riferimenti di possibili approcci su latenti situazioni umane, riflesse dal mito e dalla ragione.
Su questa globalità di visione, pur distinguendo, con le acclarate evoluzioni, il primo e l’altro modo del suo fare arte: accentuatamente robusto il primo, intellettivamente evanescente il secondo – particolarmente quando sviluppa gli intimi dati del pittoricismo –, il fatto emergente per tutti e due è costituito dalla persuasione del racconto e dalla qualità linguistica dei mezzi espressivi, per cui tutto è limpidamente sublimato nei valori effusivi dei risultati formali e, in quanto alla compiutezza, e in quanto a un ordine e a un’organizzazione dei punti chiave dell’intero sviluppo di una personale realtà o finzione negli stilemi di un sincero memoriale di sua assunzione.
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Spesso, e in alcuni casi particolari, si è parlato a proposito di donne che per lungo tempo hanno creato, quali compagne o amiche, in parallelo ai grandi maestri, annullando se stesse, o lavorando su ispirazioni, anche riflesse, in esatte comunioni. Per Anna Trapani pensiamo a ben altro; pensiamo al lavoro autonomo, isolato, a quello di persona come tale nella propria dignità e riservatezza, a parte la propria femminilità. Ci sono analogie con dei casi? Certamente sì, se pensiamo alla Gonciarova, alla Mari, alla Munter, alla Accardi, e a tutte quelle donne artiste che rappresentano veramente l’altra metà del cielo; come abbiamo pensato, per tempi diversi, alla Gentilsechi, alla Caleffi, alla Leonor Fini, e a quante altre, nella varietà delle stagioni, hanno creato per proprio conto, sentendo la responsabilità di additare i segni di una propria avanguardia. Eccoci alla nota elevata di questo ragionare: la Anna Trapani, a Napoli, proietta una sua determinante avanguardia, giacché riunisce nella sua concettualità elementi storici, filosofici, scientifici, trasferendo negli intrecci dei ragionamenti la consequenzialità di ricercatrice di talune verità e l’altra faccia del mito che attraversa in metafora la ragione umana.
A questo punto potremmo anche compiere una digressione, dicendo che le citazioni che vanno esperite per un’artista donna oggi sono ben altre di quelle d’altri tempi, ma che sempre invitano a porre la medesima domanda circa la posizione della donna stessa nella globalità delle arti visive. Andremmo oltre l’oggetto del nostro argomento; poiché i tempi, alquanto mutati, ci farebbero porre ben altre domande. Noi però vogliamo seguire il tracciato di questa donna artista nell’ambito del suo tramite con l’arte, chiarendo e specificando che ella rappresenta l’indice di chi ha guardato e guarda sempre profondamente dentro di sé. Eppure, mentre per un verso si rivolge al passato per trovare le radici, per l’altro si rifà al presente in un novello mito. Per questo le tematiche delle sue forme sono della vitalità nella trinità: del senso, dell’amore, dell’intelletto. Allora specificamente fa quasi la storia della vita nella società e nella civiltà umana.