"Il j'accuse di Anna Trapani"
in Sogni di donne-Sogni di pace, Mostra collettiva di arti visive, Marzo Donna, 2003
di Giorgio Di Genova
Anna Trapani, artista dalla lunga storia da quando è uscita dalla scuola di Emilio Notte, nonché donna generosa per esempio nei confronti della sfortunata Maria Palliggiano, alla cui mostra postuma al Castel dell’Ovo dette il suo contributo, espone un trittico di tele, le quali sono l’ultimo raggiungimento di tanti anni di ricerche, che dalle elaborazioni pittoriche sono approdate a quadri con interventi di ricamo, o cui veniva fattivamente ribadito linguisticamente quanto asserito in quell’opera tangenziale al Concettualismo che è “Lettera alla mia mamma nel giorno in cui mi lasciò disperatamente sola” dove ha sistemato la sua foto di profilo tra due rettangoli, su cui sono vergate le due pagine della lettera dell’8 aprile 1978 con sotto disegni binari, mentre sulla base ha scritto: “Quando dicemmo di avere una storia diversa”, vera ed indicativa didascalia dell’intero lavoro.
Si guardino attentamente queste tele detessute. In ciascuna si intravedono, nell’ordine, un vorticar di figure di una sua opera, l’urlo di Munch e Saturno che divora i suoi figli.
Ma la terna costituisce un’opera singola per il significato che dalla sequenza se ne ricava, in quanto si passa dalla danza fluttuante dei corpi della prima tela all’urlo di protesta ed orrore della seconda, per concludersi nell’allegoria d’après goyesco, che sta a significare che il potere fagocita sempre la vita dei deboli, a conforma dell’asserzione di Hobbes: “homo homini lupus”.
Si tratta di un accorato j’accuse attraverso cui la Trapani vuole far sentire visivamente la sua voce contro la guerra. Ma la qualità del trittico, per quanto attiene al valore artistico, non ha ovviamente nulla a che fare con questi contenuti ideologici. Chi conosce la mia posizione sa bene che per me il vero contenuto di un opera d’arte è il suo specifico linguistico.
In altri termini per un dipinto il vero contenuto è la pittura e non quello che rappresenta, che può essere infatti rappresentato o detto in altri modi. Ciò che fa entrare nella sfera estetica un’opera non è il suo significato, bensì il significante, ossia il suo linguaggio. Le Madonne di Raffaello non sono capolavori perchè rappresentano un’immagine religiosa e presente nell’inconscio collettivo, ma solo perchè sono pittura, grande ed alta pittura. Il trittico della Trapani ha un proprio linguaggio, non più connotato, secondo certi dettami dell’odierno lessico artistico, nella pittura in senso tradizionale. Ma il suo far affiorare immagini tra le trame dei fili della tela, l’iterata impostazione delle composizione, ritmata dalle detessiture orizzontali per le parti con l’immagine e da quelle verticali nei rettangoli in basso a sinistra, la spenta aura cromatica che si amalgama con quella della tela grezza, di cui contorno e gli inserimenti all’interno delle scene si ripetono uguali, nonché il rapporto visivo delle tre battute, che dalla movimentazione della prima scena scema fino allo spegnimento della terza, determinando una “musica” visiva che assieme agli altri momenti fanno linguaggio.
La stessa detessitura, che Anna Trapani utilizza come novella Penelope dell’arte, che disfa ciò che ha fatto, è attuata in nodi diversi e opposti a quelli aniconici tipici di Salvatore Emblema. Infatti ella coniuga iconismo ed aniconismo in “ipso operis corpore” amalgamando le ritmiche visive delle immagini e degli sfilamenti con risultati nuovi e originali.